Il Prof Palermo si racconta

Cari studenti e studentesse del Fermi, abbiamo intervistato ai Microfoni del faro, una nuova leva del corpo docenti: il giovanissimo professore di filosofia Giuseppe Palermo, al suo primo anno di insegnamento.

Buongiorno prof, vorremmo iniziare con una curiosità: che tipo di adolescente era?

Ciao ragazzi, devo dire  che io a scuola ero abbastanza secchione, studiavo poco ma andavo abbastanza bene in quasi tutte le materie, tranne che in filosofia. Non ero particolarmente problematico, non fumavo, non bevevo, ero un adolescente abbastanza in regola, probabilmente mi sono sregolato un po’ più avanti rispetto al periodo della scuola. Sicuramente dedicavo più tempo agli amici che allo studio, avevamo un bel rapporto. È il periodo che più rimpiango.

Quando è nata la sua passione per la filosofia?

Questa è facilissima, è nata quando ho conosciuto il professore Vassallo, che poi ho ritrovato qui a scuola. Lui è stato il mio primo docente di filosofia, l’ho avuto per due mesi di supplenza, però sono stati i primi due mesi di filosofia vera e propria, quindi la passione per la filosofia è nata in quel momento, anche se poi non ci sono state esperienze dello stesso tipo nel corso degli anni: l’impatto è stato talmente forte che poi ho deciso di proseguire, un po’ perchè mi sembrava che la filosofia potesse trovare una risposta alle domande che mi ponevo, poi in realtà mi ha dato più domande che risposte.

Cosa ha provato nel vedersi collega di un suo ex professore?

È stato molto bello, io mi sono preso tutta la confidenza possibile, gli ho dato subito del tu, mi sono fatto prestare libri, mi sono invitato a casa sua: in realtà me ne sono approfittato molto e gli chiedo scusa, però è stato molto bello e credo che abbia fatto piacere anche a lui. Per me è stato importante perché io credo di aver avuto due modelli in filosofia e lui è uno di questi.

Che percorso universitario ha fatto?

Io ho fatto tutto il mio percorso universitario, in filosofia, all’Università di Fisciano, sia la triennale che la magistrale, e poi anche il dottorato in seguito. È stato un percorso molto focalizzato sulla storia della filosofia, nel mio caso in particolare sulla storia della filosofia medievale: ho fatto le prime due tesi su un filosofo aristotelico minore del XIII secolo e poi la tesi di dottorato su Agostino d’Ippona.

Chi ha inserito nei ringraziamenti della sua tesi? Perchè?

Io in effetti non ho scritto i ringraziamenti, sono stato un po’ scortese da questo punto di vista, ho soltanto dedicato a penna la tesi alla mia famiglia, per un semplice motivo di affetto.

Che rapporto pensa ci sia tra la filosofia e la vita di tutti i giorni?

In teoria dovrebbe esserci un rapporto molto stretto, anche se poi ci rendiamo conto che nella realtà non è così. La filosofia è essenzialmente un modo di vivere e questa concezione è andata un po’ persa col tempo e si vede che manca la capacità anche di assumere una coerenza nelle proprie posizioni che è ciò che la filosofia dovrebbe insegnare a fare.

Sappiamo che è il suo primo anno di insegnamento, quali sono state le sue esperienze lavorative passate?

Avendo fatto il dottorato dopo l’università, ho investito tre anni nel mondo della ricerca. Dopodiché non ho confermato la mia volontà di restare all’università, un po’ per assenza di proposte valide, un po’ per una decisione razionale legata alla volontà di restare qui in provincia. Questo mi ha portato a fare delle scelte un po’ in contrasto con il mio percorso di studi, infatti ho lavorato come muratore e in seguito anche come operaio. Per lo più ho fatto lavori di tipo manuale, guidato dalla volontà di restare in zona piuttosto che provare a trovare qualcosa di più affine al mio percorso, che però mi avrebbe portato fuori dalla Campania.

Che emozioni ha provato entrando nella sua prima classe? Se lo aspettava diverso?

La mia prima classe è stata la 4C. Sicuramente c’è stato un bell’impatto, i ragazzi mi hanno dato l’aria di essere particolarmente attivi e svegli. Devo dire che la scuola è cambiata molto meno di quanto si tenda a pensare, i ragazzi fanno i ragazzi. Hanno i loro interessi, le loro caratteristiche, a prescindere da quello che è la congiuntura temporale. Sicuramente c’era un po’ di disciplina in più quando andavo a scuola io.

Nel confrontarsi con gli studenti, sente il distacco generazionale?

No, innanzitutto perché credo che il distacco generazionale sia un’invenzione, forse della Germania nazista, è anche abbastanza interessante rifletterci. Non credo ci sia il distacco generazionale perché da un lato tutte le persone dai 25 anni in su tendono a criticare le nuove generazioni, ma  è una cosa che si fa da sempre: aprendo i Dialoghi di Platone, ci sono i vecchi che si lamentano dei giovani e pensate che tra i giovani del tempo c’era Aristotele. Immaginate qualcuno che si lamenta di Aristotele perché magari non vuole studiare, suona un po’ strano. Leggendo gli articoli di giornale del New York Times, pubblicati dall’Ottocento ad oggi, ricorrono un sacco di volte titoli del tipo “I giovani non hanno voglia di lavorare”, “I giovani non si vogliono impegnare” e non c’è mai la presa di posizione da parte dei grandi che dicano: “Alla fine noi facevamo la stessa cosa e forse dovremmo fare in modo di coinvolgerli di più, di vedere cosa vogliono fare, cosa vogliono dire” e penso che questo sia uno dei problemi più grandi in generale della società. Non dico della nostra società perché, come ho spiegato, fa parte della società di tutti i tempi. C’è l’idea che ci sia bisogno di un atteggiamento paternalistico nei confronti dei giovani, per cui siamo noi a doverli indirizzare e a dover decidere al posto loro. Invece io credo che dovremmo metterli in condizione di scegliere quello che vogliono fare e il modo in cui lo vogliono fare.

Qual è la parte migliore e quale la peggiore del suo lavoro?

La parte migliore è sicuramente il confronto con i ragazzi, fare lezioni dialogate, soprattutto quando spiego, mi piace vedere i ragazzi che si interessano, che propongono degli argomenti, che fanno domande, anche non strettamente inerenti alla materia scolastica. Questo l’avevo già notato quando ho fatto il tirocinio durante l’università, mi sono confrontato per la prima volta con dei ragazzi più giovani e già lì, tornando al discorso di prima, le mie certezze sul famoso distacco generazionale iniziarono a crollare, perché notai che i ragazzi in realtà erano molto interessati, molto preparati e forse anche meno ingenui di quanto non fossi io, che all’epoca avevo 25 anni. Tornando alla domanda, la parte più brutta è la votazione: innanzitutto io non credo di essere particolarmente basso di voti, anche se ai ragazzi potrebbe passare quest’immagine. È la parte più brutta perchè dietro al voto c’è tanto: c’è un ragazzo che comunque ha studiato e non è riuscito a capire le cose importanti, c’è un lavoro che il docente magari ha sbagliato, perchè se in una classe le insufficienze iniziano a essere tante, forse è il docente che non ha saputo spiegare adeguatamente determinate cose. C’è poi il problema per cui i ragazzi tengono un po’ troppo al voto, hanno questa necessità di portare avanti un risultato, un discorso di produttività, che magari potremmo evitare di fare a quest’età: la produttività iniziamo a guardarla più avanti, ora concentriamoci su quello che studiamo.

Cambierebbe il sistema scolastico italiano? Se si, in che modo?

Sì, cambierei tanto il sistema scolastico italiano, soffermandosi ad esempio sulla questione della filosofia, io allargherei l’insegnamento della filosofia, almeno per quanto riguarda la logica e la struttura dell’argomentazione al biennio, se non addirittura alle scuole medie, anche se è anche mia intenzione provare a fare filosofia con i bambini delle elementari, quindi in realtà c’è modo di ragionare filosoficamente a qualsiasi età. Le modifiche per quanto riguarda il resto sarebbero tante, bisognerebbe innanzitutto rivedere il sistema delle valutazioni, il sistema dei crediti, bisognerebbe gestire meglio i finanziamenti, cioè non tenere sempre le scuole con un budget limitato, e lo stiamo dicendo in una scuola in cui l’impegno amministrativo anche per quanto riguarda la spesa è molto forte ed è quello che dovrebbe essere, ma non tutte le scuole sono così. Poi, soprattutto, toglierei di mezzo l’ex alternanza scuola-lavoro o PCTO odierno, perché da un lato è un problema di sicurezza, che nel caso dei licei sicuramente non è così vistoso, però sappiamo di molti incidenti accaduti in questi contesti, anche molto gravi, e già uno è più di quelli che dovrebbero accadere, e poi perché l’idea che la scuola debba preparare al mondo del lavoro è a mio parere completamente sbagliata: la scuola nasce con l’intenzione di educare quelli che sono i sovrani della repubblica, nasce con l’idea di formare delle persone che di per se già lavorano, pensare quindi di condizionare l’insegnamento per avvicinarli al mondo del lavoro sembra tanto rispondere alla necessità di formare dei “soldatini” per quest’ esercito di produzione.

Se potesse spostarsi in ogni tempo e in ogni luogo, con quale filosofo avrebbe il piacere di parlare e perché?

Ci ho riflettuto tante volte, credo presuntuosamente di aver capito molti pensatori, quindi in realtà quelli che sono i miei riferimenti principali come Spinoza, come Marx, o Wittgenstein, non avrei bisogno di conoscerli di persona, invece mi piacerebbe tanto incontrare Platone, per capire le famose dottrine non scritte, cioè Platone ha lasciato dei dialoghi ma pare che abbia conservato la parte più importante per le lezioni frontali, sarebbe bello quindi magari ascoltare una di quelle lezioni e vedere, considerando poi l’importanza dei suoi dialoghi, quanto fossero ancora più importanti le cose che diceva durante le sue lezioni.

Coltiva delle passioni nel tempo libero?

Non è che ultimamente abbia tantissimo tempo libero però, sì, ho iniziato a suonare la chitarra quando avevo più o meno la vostra età, ed è una cosa che continuo a fare, poi ho allargato, a dir la verità, lo studio ad altri strumenti, come il flauto, l’armonica, la tastiera, che però non dico mai pubblicamente di suonare perché non sono in grado di farlo, poi mi piace lavorare il legno, ho fatto dei lavoretti di falegnameria, un po perché ho lavorato con un falegname e quindi ho appreso qualcosa, un po perché mi piace l’idea di prendere la materia grezza e di portarla poi a una struttura; non faccio più sport, anche se vorrei riprendere. Ho fatto di tutto: a livello semiprofessionistico ho giocato a calcio, a pallavolo, a badminton, ho praticato taekwondo, ho fatto anche campionati nazionali, ho partecipato a vari tornei importanti, mi piace molto la pallacanestro che però non ho mai praticato, mi piacerebbe iniziare a fare pugilato.

C’è stato un libro oppure un film che è stato fondamentale nella sua formazione e che si sente di consigliare anche a noi?

Sì, ci sono stati tanti libri che hanno segnato un punto di svolta nel mio percorso filosofico, come romanzo che sicuramente mi ha colpito tantissimo e che ho letto di recente c’è Germinale di Émile Zola: è un romanzo storico naturalista ambientato nella Francia dell’Ottocento molto interessante, dà l’idea delle condizioni di vita di persone che si trovano in determinati contesti, meno fortunati dei nostri.

Un messaggio che vuole dare agli studenti del Fermi?

C’era un tizio che diceva “Siate affamati, siate folli” che è una cosa che non condivido assolutamente: “Siate sazi e siate razionali”, dovete essere “agitati e ben strutturati”, come diceva Gramsci, la cui filosofia condivido molto di più, c’è bisogno di tutta la vostra passione e di tutte le vostre capacità.

 

Articolo e immagini a cura di Roberta Fucci e Vittoria Migliaccio

 

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