Sulpicia

La letteratura latina annovera tra i suoi esponenti nomi di lustri letterati, eppure nel III libro del Corpus tibulliano si nota quello di una docta puella, la poetessa Sulpicia: undici elegie (3,8-18) sono affidate alla scrittrice e intitolate romanzo di Sulpicia.

Vissuta nell’età augustea, ha potuto godere di privilegi non destinati alle donne grazie al legame con Messalla Corvino, il quale l’aveva introdotta nel suo circolo culturale che raccoglieva poeti e pensatori del tempo.

L’assenza delle donne nella cultura era estesa non solo alla letteratura, ma anche al teatro, che vedeva uomini interpretare ruoli femminili, ma di donne colte e raffinate, probabilmente anche famose, il mondo classico era pieno, anche se le fonti riportano pochi nomi. La bravura delle donne nella scrittura era già nota con l’esordio di Saffo, prima poetessa della storia, che fu di ispirazione per i più celebri poeti latini nelle liriche d’amore, come Catullo e Orazio. Con la caduta dell’Impero romano i nomi delle poche scrittrici famose furono rimossi a causa del Cristianesimo, che divulgava prettamente arte religiosa e disprezzava le produzioni femminili.

Tornando al Corpus tibulliano, l’attribuzione delle elegie dalla 8 alla 18 del III libro a Sulpicia è stata molto discussa: nel Cinquecento si credeva che fossero opera di Tibullo, del quale si ipotizzava l’omosessualità per il destinatario maschile, per poi affermare che il poeta si fosse immedesimato in una scrittrice donna per dare espressione letteraria alla figura femminile; vi è inoltre chi credeva che fossero di Tibullo poiché di livello troppo alto per una scrittrice donna. Ad oggi la communis opinio vede la poetessa come autrice delle tanto discusse elegie.

La grandezza di Sulpicia, oltre alla maestosa dote poetica, è da attribuire alla volontà di uniformarsi ai poeti elegiaci, nonostante non sia un poeta a celebrare una donna, bensì il contrario. La poetessa rimane conforme alle norme della poesia erotica latina, oltre che nell’aspetto formale, anche nell’uso dello pseudonimo dell’amore cantato, Cerinthus, del quale non è nota l’identità. Lo ritroviamo in questi versi vittima di una frecciatina si Sulpicia nell’elegia 16:

[…] Sed tibi cura togae potior pressumque quasillo / scortum quam Servi filia Sulpicia

“Abbi pure a cuore la toga di una sgualdrina con la cesta in testa, piú di Sulpicia, la figlia di Servio.”

Articolo e immagini a cura di Miriam Damiano

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